giovedì 28 gennaio 2010

Chi fa gli esami???

Gli esami non finiscono mai…

Sara che sono il solito sentimentale unprofessional, ma gli esami dei ragazzi mi stressano (quasi) come fossero i miei. Dico sempre che il primo anno che insegnavo è stata la mia seconda maturità, visto che i marmocchi (cresciutelli assai) che ho seguito per sette mesi poi me li sono trovati davanti come membro di commissione. Un conflitto di interessi niente male  che in UK non può avvenire e non so se dolermene o rallegrarmene…

Qui, c’è da dire, il coinvolgimento emotivo è anche peggiore perchè nella (spietata) meritocrazia britannica sai che il voto in quell’esame può fare una grossa differenza nel futuro del ragazzo. L’Università che vuole potrebbe non accettarlo con meno del massimo, addirittura la facoltà che vuole potrebbe essergli preclusa quasi dovunque se non prende un certo voto (è così almeno per Medicina). In compenso non c’è nessun conflitto di interessi (o di coscienza) possibile: gli esami glie li fa qualcun altro. A scuola arrivano i test il giorno stesso, tu come insegnante dai una pacca sulle spalle di incoraggiamento e poi devi uscire dall’aula, i ragazzi completano il test in un silenzio di tomba e il test suddetto viene portato a far correggere altrove. Dopo un paio di mesi esce fuori il verdetto...

Chi si occupa di elaborare e correggere gli esami sono le cosiddette “exam boards”, autorità indipendenti preposte alla valutazione ufficiale del livello di preparazione degli studenti. Sono quattro-cinque in tutto il Regno Unito. Quelle diffuse ovunque sono la OCR, la AQA e la Edexcel. In ogni scuola, il singolo Dipartimento (Scienze, Arte, Matematica etc.) sceglie la “specification” da seguire, legata ad una particolare exam board che fornisce il programma e approva i libri di testo. Alcune exam board offrono più di una specification con differenze anche notevoli sull’approccio educativo-didattico. Per Chimica, per esempio, la OCR offre una specification “tradizionale” focalizzata su un insegnamento sistematico e astratto a fianco ad una specification più “sperimentale” (la Salters, sviluppata fra gli altri dalla mia tutor di York) basata sull’aspetto concreto, applicativo, investigativo. Tutte le exam boards rispondono alla QCA (Qualification and Curriculum Authority) che stabilisce i contenuti e i criteri generali di valutazione.

Da un certo punto di vista, confrontato con quello Italiano, questo sistema sembrerebbe perfetto. Pensateci per un momento. Un voto che significa LA STESSA COSA da Torino a Palermo (pardon, da Brighton a Newcastle). Le scuole non possono barare, nessuno può dire “vieni da me che è più facile”. Le scuole private (attenzione!) per attrarre “clienti” devono dimostrare che sono serie e ottengono risultati migliori. I risultati medi ottenuti dalle singole scuole sono a disposizione del pubblico. E, poi, una valutazione che responsabilizza i ragazzi, che sanno che la loro mancanza di impegno può chiudergli certe porte in modo quasi definitivo (possibilità di recupero esistono, ma sono complicate e impegnative, assai più che ripetere un anno o andare fuori corso in Italia).

Sembrerebbe. La perfezione non è di questo mondo e in particolare non sembra albergare nei sistemi scolastici a qualunque latitudine. Dunque, facciamo un po’ le pulci a questo sistema “oggettivo” di valutazione. In questo momento abbiamo buon gioco: la prova della OCR per Biologia A level uscita lunedì scorso conteneva un sacco di cose “extra” rispetto al programma da loro stessi fornito e su facebook sta montando la protesta dei diciottenni (compresi i miei ragazzi).

Punto primo: chi decide i contenuti “importanti”? I programmi ministeriali Italiani sono noti per la loro immutabile rigidezza e anacronismo. Quelli Inglesi sono molto più flessibili e rispondono in tempo reale alle sollecitazioni dei tempi, che significa (anche) alle mode e alla politica. Ti puoi facilmente trovare con un programma mutilato di contenuti importanti, o focalizzato su contenuti banali e noiosi che qualcuno ha deciso “rilevanti per il contesto socio-cultural-etc.”. In questo caso, omunque ci devi stare perchè sono quelle le conoscenze che decideranno del futuro dei ragazzi. Questo, a onor del vero, vale soprattutto per i GCSE (il titolo preso a 16 anni) mentre gli A-level (presi a 18 anni come la nostra maturità) sono più esposti al giudizio delle Università che vogliono costruirci sopra senza dover ricominciare da capo, specie nelle lauree scientifiche.

Punto secondo: cosa è “sufficiente” o “eccellente”? L’output di un test all’Inglese è un numero, una percentuale. Chi decide l’interpretazione di questo risultato. La stessa exam board, che nel farlo è influenzata da una serie di pressioni. Il governo vuole dimostrare che la preparazione dei ragazzi che escono da scuola è in miglioramento, come risultato delle mirabolanti Strategies messe a punto dagli esperti Newlabour. Le Università (specie quelle “top” tipo Oxford e Cambridge) vogliono selezione: solo i migliori dei migliori devono prendere A o A* (nuovo voto venuto fuori per ovviare all’eccesso di A). Se dagli esami escono troppi voti massimi, le Università stesse saranno costrette a spendere una marea di risorse per fare loro stesse la selezione all’ingresso, mentre è molto più comodo se la selezione la fa la scuola (fra l’altro, dicono, questo sarebbe anche il mestiere della scuola stessa). Aggiungiamo i tabloid che AMANO parlare di scuola e alternano ai loro servizi sui maniaci sessuali in cattedra (risultato, attento a come guardi i ragazzi o rischi la denuncia) servizi su come era seria la scuola di una volta in confronto a questi buonisti che regalano il massimo a tutti etc. E se non bastasse, le elezioni si avvicinano…

Punto terzo: solo scritto? Questo è un aspetto meno “contingente” e più insito nella mentalità anglosassone. Emprirismo, dati concreti, criteri certi e trasparenti. Agli occhi di molti, qui, l’esame orale appare 1) sommamente inefficiente per il tempo e le energie richieste 2) spaventosamente soggettivo (una parola che gli Inglesi vedono come il fumo negli occhi, se si tratta di valutazione). Io ho interrogato gente in Italia e somministrato test nell’isola delle nebbie. Devo dire che l’interrogazione, se ben usata, è più accurata nel saggiare l’effettiva comprensione di un concetto. E’ uno strumento adattabile, ogni domanda può essere influenzata dalla risposta precendente e scavare in una determinata direzione. Indubbiamente, i risultati ottenuti sono più soggettivi e meno “comparabili”: ogni esame orale fa storia a sè.

Dunque? Dunque boh! Il carattere stringente (e insieme mutevole e imprevedibile) della valutazione Inglese può dare ai nervi e umiliare il prof. che vorrebbe insegnare cose più “serie” e rilevanti di quelle che si trova nel curriculum. D’altra parte, è così per tutti. Lo sforzo di “imparare a passare l’esame” fornisce uno strumento per confrontare risultati ottenuti in situazioni molto diverse. Il mio sogno sarebbe un integrazione fra giudizio della scuola e valutazione esterna sulla base di criteri stabiliti. Attenzione, neanche questo sarebbe perfetto: qualcuno deve stabilire i criteri, ed è sempre un giudizio opinabile. Tuttavia, penso che in Italia sia l’assenza di criteri condivisi (imposti dall’alto?) a rovinarci. “Mi ha messo 4” o “mi ha messo 8” sono frasi che qui non hanno senso: il ragazzo conosce i criteri (il prof. deve esporglieli chiaramente) e poi dipende da lui.

Ancora boh! Poi, detto fra noi, la valutazione non mi ha mai particolarmente appassionato. Però la storia che quello che diamo non è misurabile (o si misura solo sui grandi numeri e sul lungo perido), ancorchè in parte vera, mi sembra l’alibi perfetto per non rendere mai conto a nessuno. Che è poi quello di cui, in malafede, ci accusano gli smantellatori della scuola.

BOHHHH!!!!!


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